- L’acqua: bene primario o strumento economico? L’evoluzione da Kyoto a Parigi
Correva l’anno 1997 quando la Terza Conferenza delle Parti, nell’ambito della Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici, raggiunse lo storico accordo sulla riduzione delle emissioni di gas a effetto serra che divenne celeberrimo con il nome di «Protocollo di Kyoto».[1] Fra gli obblighi assunti dai Paesi firmatari, vi era anche la ricerca, la promozione e lo sviluppo di fonti energetiche rinnovabili, oltre all’impegno a farne un sempre maggiore utilizzo.
In quell’anno, la produzione di energia idroelettrica in Italia rappresentava circa il 74% della potenza energetica complessiva riconducibile alle fonti rinnovabili, con un aumento percentuale della produzione del 1,1% annuo.[2] Nel 2014, le nostre risorse idriche hanno generato circa un quinto della produzione energetica lorda nazionale.[3] A tutto il 2015, nonostante lo straordinario aumento della produzione solare ed eolica, l’energia idroelettrica costituisce ancora quasi la metà della produzione energetica totale da fonti rinnovabili.[4]
Le risorse idriche, in Italia, sono dunque considerate delle straordinarie fonti di profitto, in particolare grazie alla conformazione idrogeologica del Bel Paese, rendendo possibile sopperire ad una larga parte del fabbisogno energetico totale senza dover attingere dai combustibili fossili, di cui l’Italia è tutt’altro che ricca e i cui costi di importazione diventano via via più gravosi.
A fronte degli impegni assunti a livello internazionale, le politiche industriali e la legislazione nazionale degli ultimi vent’anni hanno incentivato sempre più l’utilizzo dell’energia idroelettrica, da un lato per ragioni economiche riconducibili alla straordinaria abbondanza della materia prima,[5] dall’altro per il basso impatto ambientale di questo tipo di produzione.
La realtà dei fatti, però, ha dimostrato che l’utilizzo incontrollato dei bacini idrici e degli alvei fluviali, anche per la produzione di energia elettrica, non solo ha un alto impatto ambientale – seppur non in relazione all’emissione di gas a effetto serra – ma sta gravemente danneggiando le nostre falde acquifere ed i nostri corsi d’acqua.[6]
Questo modello di sfruttamento si sta rivelando sempre più inadeguato soprattutto alla luce della grande attenzione posta nei confronti della tutela dell’ambiente da parte di enti nazionali, sovranazionali[7] e non governativi, tanto che oggi appare quasi anacronistico immaginare un sistema energetico da fonti rinnovabili che non tenga conto delle conseguenze ambientali sottese al suo utilizzo:[8] già nel 2000, l’Unione Europea ha confermato l’importanza di proteggere e salvaguardare gli ecosistemi acquatici, richiedendo agli Stati membri di attuare un utilizzo idrico fondato sulla protezione a lungo termine delle risorse disponibili,[9] ribadendo in più occasioni la necessità di un approccio globale in termini di accesso alle risorse idroelettriche.[10]
Nel novembre 2015, nell’ambito della Settima Sessione dell’Incontro delle Parti della Convenzione UNECE sulla protezione e l’utilizzazione dei corsi d’acqua transfrontalieri e dei laghi internazionali, l’Italia ha firmato a Budapest, per tramite del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, il c.d. «Patto di Parigi» che sottolinea l’importanza dell’inclusione delle risorse idriche nelle misure di adattamento ai mutamenti del clima: in questo documento si evidenzia la necessità di valutare l’impatto del cambiamento climatico e le vulnerabilità dei bacini per adattare la gestione delle acque ad uno sviluppo più efficiente e sostenibile, coinvolgendo nei meccanismi e nelle politiche di tutela delle risorse idriche anche i grandi operatori dei settori affini, quali quelli dell’agricoltura e dell’energia, al fine di salvaguardare gli ecosistemi legati all’acqua.[11]
L’importanza di assicurare l’integrità degli ecosistemi acquiferi, con particolare riguardo alla biodiversità, è altresì uno dei punti cardine dai quali è scaturito il nuovo accordo sul clima di Parigi nel dicembre 2015,[12] che guiderà le politiche ambientali dei prossimi vent’anni.
Appare quindi evidente come tutelare i bacini idrici e i loro sistemi biologici sia un’esigenza sempre più attuale, anche se spesso trascurata in favore di logiche politiche ed economiche:[13] l’impatto ambientale indiretto, dunque, è un fattore da tenere in notevole considerazione anche in quelle situazioni che, a prima vista, possono sembrare ecologicamente sostenibili.
Nell’era dell’acqua bene comune, ormai raggiunta la consapevolezza che le risorse idriche – e in generale tutte le risorse ambientali – sono beni preziosi[14] e tutt’altro che infinite, è essenziale comprendere appieno quanto le scelte degli anni futuri debbano essere indirizzate a tutelare il nostro pianeta.[15]
- Il fondamento (economico) delle concessioni idroelettriche
La normativa italiana sulle concessioni idroelettriche di grande derivazione è stata oggetto di numerose modifiche, spesso imposte a livello comunitario, nonché di notevole attenzione da parte della dottrina e della giurisprudenza.[16]
Il quadro normativo vigente prevede, all’art. 12 del D.Lgs. 79/1999, che le regioni e le province autonome indicano, cinque anni prima dello scadere di una concessione di grande derivazione, una gara ad evidenza pubblica «avendo riguardo all’offerta di miglioramento e risanamento ambientale del bacino idrografico di pertinenza, alle misure di compensazione territoriale, alla consistenza e qualità del piano di interventi per assicurare la conservazione della capacità utile di invaso e, prevalentemente, all’offerta economica per l’acquisizione dell’uso della risorsa idrica e all’aumento dell’energia prodotta o della potenza installata». Risulta quindi chiaro che gli aggiudicatari devono essere scelti prioritariamente sulla base dell’offerta economica e del loro impegno ad aumentare l’energia prodotta, massimizzando al contempo il vantaggio economico dell’amministrazione e lo sfruttamento della risorsa idrica. Seppur se ne faccia menzione, l’impegno del concorrente ad effettuare interventi di carattere ambientale volti a migliorare l’utilizzo del bacino o a preservare l’ecosistema idrico risulta essere di non primario rilievo.[17]
Poiché non si rinvengono parametri vincolanti in merito alla qualità del progetto, soprattutto dal punto di vista ambientale, la disposizione non trova giustificazione alcuna se non con riferimento al carattere prettamente economico dell’attribuzione, sia esso diretto (tramite l’offerta alla Pubblica Amministrazione) ovvero indiretto (tramite i canoni e i sovracanoni).
Per come è stata formulata, la normativa lascia intendere una, neppur troppo tacita, soccombenza dei piani di tutela ambientale a favore degli introiti che deriveranno dalla concessione: l’aumento della potenza, infatti, garantisce altresì l’aumento sia dei canoni – dovuti da tutti i concessionari – che dei sovracanoni, rivieraschi e B.I.M., i quali sono calcolati unicamente sulla base dell’energia generata, non avendo alcun riguardo della quantità di acqua utilizzata per produrla. È evidente, dunque, che il Legislatore non ha inteso incentivare l’avanzamento della tecnologia o il miglioramento delle infrastrutture, con il conseguente vantaggio ambientale, ma solo l’aumento di potenza, con notevole favore economico per gli Enti Locali.
A confermare questa interpretazione è intervenuta la Legge di stabilità 2013,[18] la quale prevede al comma 137 dell’art. 1 che, «al fine di consentire la prosecuzione degli interventi infrastrutturali da parte dei comuni e dei bacini imbriferi montani, i sovracanoni idroelettrici, previsti ai sensi dell’articolo 1 della legge 27 dicembre 1953, n. 959, sono estesi con decorrenza dal 1° gennaio 2013 a tutti gli impianti di produzione di energia idroelettrica superiori a 220 kw di potenza nominale media, le cui opere di presa ricadano in tutto o in parte nei territori dei comuni compresi in un bacino imbrifero montano già delimitato.» Con questa modifica, l’ambito di applicazione della disciplina originariamente prevista per i Bacini Imbriferi Montani è stato ampliato enormemente, includendo territori che, per la loro conformazione, sarebbero dovuti rimanere esenti da questo ulteriore onere.
Una siffatta scelta, oltre a suscitare seri dubbi di legittimità costituzionale[19] denota una scarsa attenzione alle politiche ambientali: estendere in maniera arbitraria i sovracanoni significa far venir meno la ragione per cui i Bacini Imbriferi Montani sono stati istituiti, avallando una visione esclusivamente monetaria delle concessioni idroelettriche.
A parere di chi scrive, a fronte delle scelte ambientali nazionali ed internazionali,[20] sarebbe più proficuo prevedere che i sovracanoni non siano quantificati solo sulla base dell’energia generata, ma principalmente valutando la quantità di acqua utilizzata per produrla, indirizzando così le industrie energetiche verso politiche più ecologiche, che tendano a massimizzare la resa e a ridurre al minimo la derivazione.
Appare evidente che gli investimenti tecnologici, alla luce di questa normativa concessoria, saranno votati più all’aumento della potenza nominale dell’impianto, piuttosto che alla riduzione delle risorse utilizzate, poiché la prima scelta risulterà indubbiamente più economica e proficua da un punto di vista industriale, a discapito della tutela della biodiversità.
- Energie rinnovabili ma non sostenibili: la tutela della biodiversità
Un approccio, come si è appena illustrato, prettamente economico, rischia di pregiudicare l’obiettivo primario che ha spinto la comunità internazionale a promuovere le energie rinnovabili: la tutela dell’ambiente.
I rischi sottesi ad un utilizzo non ecologico delle fonti energetiche rinnovabili sono stati più volte evidenziati, soprattutto nel panorama italiano;[21] ciononostante, la tutela dell’ambiente risulta essere un fattore marginale nell’ambito delle concessioni idroelettriche italiane (così come in tutto il contesto normativo energetico).
La produzione di energie rinnovabili, infatti, non può essere automaticamente annoverata fra le fonti energetiche sostenibili, poiché l’utilizzo delle risorse può mettere in ogni caso a repentaglio l’integrità ambientale attraverso uno sfruttamento, diretto o indiretto, del territorio che pregiudichi le caratteristiche ecosistemiche dell’area dove insiste l’impianto e delle zone limitrofe.
Tra gli indicatori più rilevanti, quando si parla di sostenibilità ambientale, vi è senza dubbio la biodiversità, che permette agli ecosistemi di resistere alle modifiche degli habitat nonché alle interferenze umane.[22]
La Convenzione sulla Diversità Biologica, approvata dalla Comunità Europea[23] e ratificata dall’Italia[24] riconosce che «la conservazione della diversità biologica è interesse comune di tutta l’umanità»; con la Strategia Nazionale per la Biodiversità – che ha dato attuazione alla Convenzione sulla Diversità Biologica – la conservazione, valutazione e il ripristino della diversità biologica e degli ecosistemi diviene un impegno delle amministrazioni italiane.[25]
All’interno della Strategia Nazionale per la Biodiversità, sono altresì indicate esplicitamente delle possibili minacce alla biodiversità derivanti da impianti di produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili, fra le quali compare la «riduzione della portata idrica dei corsi d’acqua soggetti a sfruttamento idroelettrico a livelli insufficienti a garantire la sopravvivenza delle specie ittiche»
Risulta quindi chiaro che lo sfruttamento delle risorse idriche per la produzione di energia elettrica non può prescindere dalla salvaguardia degli ecosistemi, così come la tutela dell’ambiente, a maggior ragione, non può soccombere alle logiche di mercato.[26]
La disciplina in materia di concessioni idroelettriche, dunque, deve muovere necessariamente dal principio secondo cui l’utilizzo delle acque debba essere effettuato in un’ottica di razionalizzazione, al fine di evitare gli sprechi e di favorire il rinnovo delle risorse, senza pregiudicare il patrimonio idrico né gli equilibri idrologici.[27]
- La salvaguardia dei bacini idrici: il deflusso minimo vitale
Fra gli strumenti idonei a preservare gli equilibri biologici dei nostri corsi d’acqua, vi è il concetto di deflusso minimo vitale (da qui in avanti anche solo DMV), introdotto nel nostro ordinamento già nel 1989 al fine di tutelare le risorse idriche attraverso «una efficiente rete idraulica, irrigua ed idrica, garantendo, comunque, che l’insieme delle derivazioni non pregiudichi il minimo deflusso costante vitale negli alvei sottesi nonché la pulizia delle acque.»[28]
Nonostante questa prima formulazione, la prima vera regolamentazione del DMV avviene solo con la Direttiva Quadro sulle Acque,[29] che ha imposto – al fine di raggiungere lo “stato di buono” di tutte le acque dell’Unione Europea – al concessionario di garantire un quantitativo di acqua nell’alveo fluviale sufficiente a non compromettere la stabilità biologica, statuendo inoltre che la reimmissione dovesse essere effettuata entro un minimo vitale per mantenere l’ecosistema di origine.
Il Testo Unico Ambientale, in aggiunta, ha stabilito che tutte le derivazioni di acqua, e quindi anche a scopo idroelettrico, «sono regolate dall’Autorità concedente mediante la previsione di rilasci volti a garantire il minimo deflusso vitale nei corpi idrici».[30]
A distanza di quasi trent’anni dalla prima menzione, e nonostante le numerose norme regionali che si sono susseguite, il deflusso minimo vitale non ha ancora una disciplina chiara, precisa ed univoca che riesca a tutelare le esigenze ambientali senza ledere gli interessi economici degli operatori del settore energetico.
Bisogna d’altronde considerare che una regolamentazione approssimativa o troppo ramificata, con numerose norme subordinate fra loro, potrebbe rendere troppo oneroso il mantenimento degli impianti, rischiando di ridurre gli investimenti nel settore idroelettrico e limitando le nuove concessioni; d’altro canto una legislazione troppo restrittiva, soprattutto a livello nazionale, che non tenga conto delle particolari e specifiche caratteristiche di ogni singolo bacino e alveo, con i relativi fattori stagionali, finirebbe per non tutelare concretamente le risorse idriche, con il rischio di pregiudicare gli equilibri biologici degli ecosistemi.
Quale sia la concreta quantificazione del deflusso minimo consentito, però, non è dato saperlo, così come non è chiaro a chi spetti tale stima; mentre è chiaro che l’utilizzo debba essere limitato alla quantità di acqua strettamente necessaria al funzionamento delle turbine idriche, non è altrettanto pacifico quale sia la quantità di acqua da restituire al sistema: la normativa comunitaria e nazionale ha consacrato il principio del DMV, ma la normativa regionale non è stata in grado di stabilire i concreti valori di rilascio.
Per comprendere appieno l’arretratezza normativa a cui si è accennato, basti pensare che per il più grande corso d’acqua italiano, il fiume Po, la Regione Lombardia ha introdotto obblighi, in capo ai concessionari, di misurazione del rilascio di acqua nell’alveo fluviale al fine di accertare l’effettivo rispetto dei limiti minimi solo dall’anno 2013[31] con attuazione dal 2015 (anno in cui, secondo la Direttiva Quadro sulle Acque, si sarebbe invece già dovuto raggiungere il livello qualitativo buono delle acque).
L’attuale quadro frammentato, disomogeneo e arretrato è frutto, in larga misura, dalla ripartizione delle competenze in materia di tutela dell’ambiente, culminata con la riforma del Titolo V della Costituzione, precedente di pochi anni rispetto all’approvazione del T.U. Ambientale.
Ad accentuare questo sistema di incertezza è intervenuta nel 2014 la Corte Costituzionale, sancendo che è prerogativa del Parlamento stabilire la concreta determinazione del deflusso minimo vitale, poiché questa competenza attiene alla materia della tutela ambientale di cui all’art. 117, comma 2, lett. s, della Costituzione. Con la sentenza n. 86/2014, la Consulta ha dichiarato l’illegittimità della Legge n. 20/2012 della Provincia Autonoma di Trento nella parte in cui stabiliva un aumento della portata massima derivabile per i concessionari di piccole derivazioni a scopo idroelettrico i cui impianti erano entrati in vigore prima del 3 ottobre 2000, statuendo che un aumento del prelievo – con conseguente inosservanza del DMV – avrebbe determinato l’inaccettabile fisiologica diminuzione della portata a valle, eludendo così il sistema di protezione garantito dalla normativa nazionale, in violazione della riserva legislativa.[32]
Appare quindi chiaro come la determinazione delle misure adeguate a salvaguardare l’ambiente senza ledere al contempo gli interessi economici non sia cosa facile, soprattutto nel caso in cui la competenza normativa sia ripartita fra più enti o addirittura sovrapposta fra essi (si pensi, ad esempio, alle realtà dove incidano contemporaneamente le decisioni di regioni, comuni e consorzi).
- Conclusioni
Alla luce di quanto esposto, si palesa un quadro normativo tutt’altro che completo, il cui primario intento pare essere più l’interesse economico che non la salvaguardia del patrimonio ambientale.
Per attuare un’inversione di tendenza, è necessario che le politiche dei prossimi anni siano indirizzate verso l’attribuzione, in capo ai concessionari, di oneri finalizzati alla tutela del territorio, cercando di guidare – sia direttamente, tramite imposizioni, che indirettamente, tramite agevolazioni fiscali – i grandi operatori del settore sempre più verso il miglioramento degli impianti al fine di massimizzare l’efficienza, aumentando la produttività e riducendo al contempo l’impiego di risorse.
In quest’ottica, un ottimo punto di partenza potrebbe essere la conversione, nel senso appena illustrato, dei sovracanoni da dazi quantificati sulla base dell’energia prodotta a tributi calcolati sul rapporto tra quantità di acqua utilizzata ed elettricità generata: così facendo, sarebbe primario interesse dei gestori migliorare l’efficienza dell’impianto, così da ridurre al minimo i costi concessori.
Allo stesso tempo, la rideterminazione dei canoni dovuti per le concessioni idroelettriche non può lasciare al libero apprezzamento del mercato la valutazione di quanto sia il prelievo d’acqua economicamente sostenibile per un determinato impianto: la verifica del rilascio minimo necessario a garantire l’integrità ambientale deve essere oggetto di specifiche normazioni, basate su indagini scientifiche, sulle tecnologie disponibili e sul confronto con gli enti coinvolti.
Per quanto non vi sia stata data concreta applicazione,[33] le norme già esistenti permettono di poter stabilire con un certo grado di flessibilità i parametri relativi al deflusso minimo vitale, potendo prendere in considerazione le reali caratteristiche dei singoli bacini idrici e calibrando i valori in ragione dell’ecosistema ivi esistente, dell’utilizzo che viene fatto della risorsa e dei soggetti – sia pubblici che privati – che possono avere interesse in merito.
In ogni caso è lampante che bisogna continuare la campagna di sensibilizzazione alle tematiche ambientali, accrescendo la consapevolezza di tutti gli operatori (dal cittadino all’amministrazione centrale, dalla microimpresa alla multinazionale) che l’acqua non è un bene infinito e che, anzi, oggi più che mai appare scarso e in progressiva riduzione, sia a causa dei cambiamenti climatici, sia in conseguenza dell’uso sconsiderato che se ne è fatto nell’ultimo secolo.
NOTE
[1] Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici. Conferenza delle Parti, Terza Sessione, Kyoto, 1-10 dicembre 1997 (FCCC/CP/1997/L.7/Add.1). Si legge in newsroom.unfccc.int
[2] Gestore dei Servizi Energetici, L’idrico. Dati Statistici al 31 dicembre 2008. Si legge in www.gse.it
[3]Autorità per l’energia elettrica, il gas e il sistema idrico, Relazione annuale sullo stato dei servizi e sull’attività svolta. 31 marzo 2015, vol. I, p. 38. Si legge in www.autorita.energia.it
[4] Gestore dei Servizi Energetici, Energia da fonti rinnovabili in Italia. Dati preliminari 2015. Si legge in www.gse.it
[5] Come evidenziato da più di un autore, le scelte sia legislative che giurisprudenziali sembrano essere più propense a favorire le ragioni economiche a danno di quelle ambientali. Si vedano, in tal senso: U. Barelli, I limiti alle energie rinnovabili con particolare riferimento alla tutela della biodiversità, Riv. Giur. Ambiente, 2014, n. 1, p. 1 ss.; A. Maestroni, Pronunce della Corte Costituzionale e del Giudice amministrativo in materia di energia da fonti rinnovabili tra tutela ambientale e concorrenza, in AA.VV.,Politica energetica, regolazione e mercato. Il nuovo diritto dell’energia tra libertà e limitazioni concorrenziali e ambientali, a cura di A. Maestroni, M. De Focatiis, Giuffrè, 2012, p. 65 ss.
[6] P. Viaroli, Biodiversità a rischio per gli ecosistemi acquatici, Ecoscienza, 2013, n. 5, p. 54 ss.; M. A. Sandulli, Le concessioni per le grandi derivazioni di acqua a scopo idroelettrico: evoluzione normativa e questioni aperte sull’uso di una risorsa strategica, federalismi.it, 2013, n. 24; S. Santato, J. Mysiak, C. D. Pérez-Blanco, The Water Abstraction License Regime in Italy: A Case for Reform?, Water, 2016, vol. 8, n. 3, p. 103 ss.
[7] «Il profilo ambientale costituisce dunque uno dei punti fondamentali attorno ai quali si sviluppa tutta la strategia dell’Unione Eropea in materia energetica.» C. Vivani, Ambiente ed energia, in R. Ferrara, C.E. Gallo (a cura di), Trattato di Diritto dell’Ambiente, Giuffrè, 2014, vol. I, p. 505 ss.; S. Quadri, Energia sostenibile. Diritto internazionale, dell’Unione Europea e interno, Giappichelli, 2012; F. Persano, L’energia fra diritto internazionale e diritto dell’Unione Europea: disciplina attuale e prospettive di sviluppo, Giuffrè, 2012, p. 69 ss.; M. Marletta, Energia. Integrazione europea e cooperazione internazionale, Giappichelli, 2011; B. Pozzo (a cura di), Le politiche energetiche comunitarie. Un’analisi degli incentivi allo sviluppo delle fonti rinnovabili, Giuffrè, 2009.
[8] «Rather than seeing water as a resource for profit, we need to understand that it is the essential element in all living ecosystems. All policies and practices must be planned with the preservation of water at their core. Not only do we have to reject the market model for our water future, we must put ourselves at the service of undoing what we have done to the natural world and hope it is not too late. Our current legal systems for protecting the environment are not working because they were not designed to do so. They view nature and water as our property. We need new universal laws that respect the integrity of ecosystems and allow other species than our own to fulfill their evolutionary role on Earth.» M. Barlow, Intervento alla Conferenza Internazionale su Acqua, Megalopoli e Cambiamento Globale presso la sede di Parigi dell’UNESCO, 1 dicembre 2015.
[9] Direttiva 2000/60/Ce del Parlamento Europeo e del Consiglio del 23 ottobre 2000 che istituisce un quadro per l’azione comunitaria in materia di acque, in G.U.C.E., serie L n. 327, 22 dicembre 2000, p. 1 ss.
[10] Da ultimo, si veda l’interrogazione parlamentare O-000074/2016 rivolta alla Commissione il 29 aprile 2016. Si legge in www.europarl.europa.eu
[11] UNECE. Convenzione sulla protezione e l’utilizzazione dei corsi d’acqua transfrontalieri e dei laghi internazionali. Conferenza delle Parti, Settima Sessione, Budapest, 17-19 novembre 2015 (MOP-7/2015/INF.8). Si legge in www.unece.org
[12] Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici. Conferenza delle Parti, Ventunesima Sessione, Parigi, 30 novembre 2015 – 10 dicembre 2015 (FCCC/CP/2015/L.9). Si legge in newsroom.unfccc.int
[13] L’utilizzo delle risorse idriche, in Italia come nella maggior parte d’Europa, avviene prevalentemente ad uso non civile, con costi che – qualora non fossero così notevolmente agevolati – diverrebbero antieconomici (A. Massarutto, L’acqua: un dono della natura da gestire con intelligenza, Il Mulino, 2008); «L’affermazione del modello di governo delle acque imperniato sulla tutela della risorsa e sulla pianificazione degli utilizzi ha tuttavia scalfito solo in minima parte la centralità della concessione. Era del resto ottimistico ritenere che bastasse introdurre per legge dei piani per destrutturare dalla base un sistema di derivazioni e utilizzi in cui le utenze industriali ed agricole assorbono oltre l’ottanta per cento della risorsa disponibile in forza di titoli di lunghissima data.» E. Boscolo, Le politiche idriche nella stagione della scarsità. La risorsa comune tra demanialità custodiale, pianificazioni e concessioni, Giuffrè, 2012, p. 443.
[14] M. Barlow, T. Clarke, Blue Gold: The Fight to Stop the Corporate Theft of the World’s Water, New York Press, 2002; P. Brambilla, Derivazioni e couso, in M. De Focatiis, A. Maestroni (a cura di), Dialoghi sul diritto dell’energia. Volume I: le concessioni idroelettriche, Giappichelli, 2014, p. 115.
[15] Un esempio della rinnovata consapevolezza che dovrebbe muovere le scelte attuali al fine di salvaguardare le generazioni future è ravvisabile nel referendum di iniziativa popolare avente ad oggetto l’abrogazione della previsione che le attività di coltivazione di idrocarburi relative a provvedimenti concessori già rilasciati in zone di mare entro dodici miglia marine hanno durata pari alla vita utile del giacimento, nel rispetto degli standard di sicurezza e di salvaguardia ambientale del 17 aprile 2016, indetto dal D.P.R. 15 febbraio 2016 (in G.U. serie generale n. 38 del 16 febbraio 2016).
[16] Dopo la Direttiva 96/92/CEE, nel 1999 il Legislatore italiano aveva previsto l’assegnazione delle concessioni idroelettriche sulla base di una procedura di valutazione comparativa, con riconoscimento di un diritto di precedenza al concessionario uscente. A seguito di procedura d’infrazione avviata dalla Commissione Europea, che affermava la contrarietà di questa disposizione ai principi del Trattato in tema di libertà di circolazione oltre al carattere discriminatorio della stessa, il Legislatore modificava l’art. 12 del D.Lgs. 79/1999 prevedendo una gara ad evidenza pubblica per l’attribuzione delle concessioni di grande derivazione e disponendo una proroga decennale per le concessioni già in essere. La Corte Costituzionale, con la sentenza n. 1/2008, censurava la disposizione nella parte in cui prevedeva il rinvio delle gare (sia decennale che quello, successivo, quinquennale) per violazione delle competenze legislative, che in materia di produzione dell’energia sono attribuite alle regioni.
[17] M. A. Sandulli, Le concessioni per le grandi derivazioni di acqua a scopo idroelettrico: evoluzione normativa e questioni aperte sull’uso di una risorsa strategica, cit.; E. Bruti Liberati, La disciplina delle gare per le concessioni di grande derivazione idroelettrica, in M. De Focatiis, A. Maestroni (a cura di), Dialoghi sul diritto dell’energia. Volume I: le concessioni idroelettriche, Giappichelli, 2014, p. 61 ss.
[18] L. 24 dicembre 2012, n. 228, in G.U. serie generale n. 302 del 29 dicembre 2012.
[19] Fondare l’obbligo di corresponsione sulla base di una qualità soggettiva dell’ente territoriale su cui insiste l’impianto e non più sulla oggettiva collocazione dell’impianto in area montana significa assoggettare alla medesima disciplina derivazioni insistenti su territori assai differenti, con l’indiretta conseguenza di applicare differenti regimi economici a impianti collocati su aree omogenee, integrando una chiara lesione del principio di uguaglianza. La previsione di sovracanoni non oggettivamente giustificati prefigura una limitazione della libertà d’impresa, la quale avvantaggerebbe alcune imprese rispetto ad altre, così come la ripartizione degli introiti avvantaggerebbe alcuni Enti Territoriali i quali non subiscono alcun sacrificio, con trattamento di favore rispetto agli altri soggetti che, nelle medesime condizioni ambientali ed industriali, non dovessero appartenere ad un Consorzio. Si veda, in tal senso: M. Bucello, La regolarizzazione dei canoni, sovra canoni e canoni aggiuntivi per le concessioni idroelettriche, in M. De Focatiis, A. Maestroni (a cura di), Dialoghi sul diritto dell’energia. Volume I: le concessioni idroelettriche, Giappichelli, 2014, p. 161-162.
[20] Si pensi alla Convenzione sulla diversità biologica, alla Strategia Nazionale per la Biodiversità e al c.d. Patto di Parigi.
[21] «La gestione non sostenibile delle risorse idriche, la crescita della domanda e l’alterazione del regime idrologico indotta anche dai cambiamenti climatici, ma soprattutto dall’uso irrazionale della risorsa idrica, stanno portando alla riduzione e al deterioramento delle risorse idriche e al collasso degli ecosistemi acquatici, tanto che le specie viventi nelle acque interne risultano essere quelle maggiormente a rischio, con tassi di estinzione circa sei volte superiori rispetto a quanto avviene per le specie marine o terrestri.» Ministero dell’Ambiente e della tutela del territorio e del mare, La strategia Nazionale per la Biodiversità, Roma, 20-22 maggio 2010 (si legge in www.minambiente.it); A. Caporale, Controvento. Il tesoro che il sud non sa di avere, Mondadori, 2012; C. Fishman, La grande sete, Egea, 2011; L. Carra (a cura di), Energie. Il punto di vista di Italia Nostra, Gangemi Editore, 2011.
[22] M. A. La Torre, La biodiversità come valore e come risorsa, in AA.VV., Trattato di biodiritto diretto da S. Rodotà, P. Zatti, vol. La questione animale, a cura di S. Castignone, L. Lombardi Valluri, Giuffrè, 2012, p. 5 ss.
[23] Decisione del Consiglio, del 25 ottobre 1993, relativa alla conclusione della convenzione sulla diversità biologica (93/626/CEE). Si legge in eur-lex.europa.eu
[24] L. 14 febbraio 1994 n. 124, in G.U. serie generale n. 44 del 23 febbraio 1994.
[25] Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province Autonome di Trento e Bolzano. Intesa sullo schema di “Strategia nazionale per la biodiversità”, predisposta dal Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare ai sensi dell’art. 6 della Convenzione sulla diversità biologica, fatta a Rio de Janeiro il 5 giugno 1992 e ratificata dall’Italia con la legge 14 febbraio 1994, n. 124. (ambiente e tutela del territorio e del mare), Repertorio n. 181/CSR del 7 ottobre 2010. Si legge in www.statoregioni.it
[26] P. Brambilla, A. Maestroni, La tutela integrata delle acque: obiettivi di qualità, misure di risanamento e regolamentazione degli usi idrici, in Riv. Giur. Ambiente, 2000, p. 883 ss.; P. Brambilla, Derivazioni e couso, in M. De Focatiis, A. Maestroni (a cura di), Dialoghi sul diritto dell’energia. Volume I: le concessioni idroelettriche, Giappichelli, 2014, p. 109 ss.; A. Maestroni, Il deflusso minimo vitale, in M. De Focatiis, A. Maestroni (a cura di), Dialoghi sul diritto dell’energia. Volume I: le concessioni idroelettriche, Giappichelli, 2014, p. 131 ss.; G. D. Comporti, Energia e ambiente, in G. Rossi (a cura di), Diritto dell’ambiente, Giappichelli, 2011, p. 276 ss.; A. Pioggia, Acqua e ambiente, in G. Rossi (a cura di), Diritto dell’ambiente, Giappichelli, 2011, p. 256 ss.
[27] D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, art. 144, co. 3, in G.U. serie generale n. 88 del 14 aprile 2016.
[28] L. 18 maggio 1989, n. 183, art. 3, lett. i, in G.U. serie generale n. 120 del 25 maggio 1989.
[29] UE. Direttiva 2000/60/Ce del Parlamento Europeo e del Consiglio del 23 ottobre 2000 che istituisce un quadro per l’azione comunitaria in materia di acque, in G.U.C.E., serie L n. 327, 22 dicembre 2000, p. 1 ss.
[30] D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, art. 95, co. 4, cit.
[31] L.R. Lombardia 29 ottobre 2013, n. 9 Disposizioni in materia ambientale. Modifiche alle leggi regionali n. 26/2003 (Disciplina dei servizi locali di interesse economico generale. Norme in materia di gestione dei rifiuti, di energia, di utilizzo del sottosuolo e di risorse idriche), n. 7/2012 (Misure per la crescita, lo sviluppo e l’occupazione) e n. 5/2010 (Norme in materia di valutazione di impatto ambientale), in B.U.R.L. n. 44, supplemento del 30 ottobre 2013.
[32] Corte Cost., sent. 7 aprile 2014, n. 86, in www.cortecostituzionale.it
[33] A. Maestroni, Il deflusso minimo vitale, cit.